martedì 27 novembre 2012

Tell me why


Ci sono tanti tipi di amore.

E, poi, c'è l'amore che non sai perchè.

(Foto di Mo Gelber, New York, 2012)

lunedì 26 novembre 2012

martedì 20 novembre 2012

Baby I know it


E poi c'era quella canzone che suonava e risuonava.
Ancora e ancora.
E ci trasportava in un'altra dimensione spazio-temporale.

Stavamo attraversando le vie deserte intorno alla città finchè ci fermammo mentre il ritmo aumentava. Menefreghisti, spensierati quasi incoscienti iniziammo a cantarla con un microfono immaginario in mano. E poi ballammo e salimmo sul cofano, mentre una leggera pioggia autunnale iniziava a scendere.
Gli amici di sempre intanto andavano a ballare nei locali più "in" del momento, e i cellulari squillavano, ma a noi cosa importava? Eravamo straordinariamente io e te. Lì, in mezzo al nulla, illuminati solo dai fari di una macchina immobile. E urlavamo a ritmo di musica e ridevamo e poi urlavamo ancora e ridevamo di nuovo. E il tuo viso nella penombra di cui riuscivo ad assaporarne comunque il sorriso.
Era tutto straordinariamente bello.

E così dopo anni succede che quella canzone la risento oggi, per caso, in questa stanza; e c'è quel bambino con noi che la canta e tutti sorridiamo perchè è così buffo.
Guardo lui ed ogni cosa torna alla mente: chiara, forte, tremendamente viva.
Sorrido mentre le guance arrossiscono.

Quattro minuti appena, e tornare quasi bambina.

sabato 27 ottobre 2012



Tamara de Lempicka (1898-1980) - Ritratto di M.me Allan Bott (1930)

mercoledì 24 ottobre 2012

Two cups


"Qui alla frontiera cadono le foglie,
e benché i vicini siano tutti barbari e
tu, tu sia a mille miglia di distanza,
sul tavolo ci sono sempre due tazze…"

(Anonimo - Dinastia Tang 618-906)







lunedì 22 ottobre 2012

Indefinitamente

Ci sono immagini, e sapori, e profumi misti a contatti di pelle e a sguardi fugaci, che sono destinati a imprimersi per sempre.

Quella mano stanca che si alzava in cenno di saluto ogni volta che mi allontanavo, il sorriso sbiadito dietro ad un vetro appannato, il gabbiano che tardava a prendere il volo in un freddo pomeriggio di fine aprile. L'alba cristallina dalla camera di un albergo e il tramonto incandescente dalla vetrata di una stazione qualsiasi, in un posto del mondo che non importava quale fosse. Il bacio lanciato dal corridoio prima del sonnellino pomeridiano e le parole di una canzone che risuonano ancora nelle orecchie, sussurrate proprio come la prima volta. Le corse per ripararsi dalla pioggia e l'amarsi ,invece, sotto la neve. La sacralità di certi luoghi. La sedia a dondolo, adesso vuota, che ondeggia ancora tra l'erba umida. Il suono della campanella e, anni dopo, l'articolo che scrivi e che viene pubblicato, facendoti assaporare per qualche minuto cosa significa svolgere una "professione" che piace veramente. L'esplosione di certi abbracci e la potenza di un incontro fortuito capace di deviare il corso degli eventi. Il suono di quel treno che conduceva lontano. E il rombo del motore dell'aereo che, invece, riportava a casa. La prima pagina del giornale del mio compagno di viaggio, sconosciuto e forse sperso quanto me. E l'umanità e la dolcezza nel volto di chi la vita l'ha vissuta e sa bene com'è.


Cose che restano.
Indefinitamente.


giovedì 11 ottobre 2012

Sleepless Nights

Certi giorni non hai bisogno di altro.
Se non di una scala all'aperto. O di un balcone.
Di una sigaretta.
Magari di una birra.
E di tutto te stesso a tenerti compagnia.
Insieme al cielo e all'odore acre della pioggia.
Meglio se di notte.
Ho letto, di recente, in un libro che sono le luci degli ultimi piani, accese ancora a tarda notte, a dover colpire. Perchè, quelle, sono le luci di chi resta sveglio, di chi vive, di chi ama, di chi decide di dedicare le ultime ore (le migliori) a se stesso o ad un amore lontano. Di chi si concentra su un vecchio film o su un buon libro. E di chi non smette mai di nutrirsi delle piccole cose.
Chiunque dovrebbe augurarsi di vivere principalmente di notti.
Profonde e insonni notti.

Hai viso di pietra scolpita



Hai viso di pietra scolpita,
sangue di terra dura,
sei venuta dal mare.
Tutto accogli e scruti
e respingi da te
come il mare. Nel cuore
hai silenzio, hai parole
inghiottite. Sei buia.
Per te l’alba è silenzio.

E sei come le voci
della terra - l’urto
della secchia nel pozzo,
la canzone del fuoco,
il tonfo di una mela;
le parole rassegnate
e cupe sulle soglie,
il grido del bimbo - le cose
che non passano mai.
Tu non muti. Sei buia.

Sei la cantina chiusa,
dal battuto di terra,
dov’è entrato una volta
ch’era scalzo il bambino,
e ci ripensa sempre.
Sei la camera buia
cui si ripensa sempre,
come al cortile antico
dove s’apriva l’alba.

(Cesare Pavese)

mercoledì 3 ottobre 2012

It's time that we grow old and do some shit


E' strano come certe storie sembrino perfettamente progettate per scivolarti tra le dita. E' nel loro DNA, non puoi farci niente.
Faresti di tutto per fermarle, per sentirti dire ancora una volta un "Ciao, come stai? Ti va un caffe'? Perfetto, allora passo a prenderti domani!", ma poi per chissà quale strano meccanismo o ragionamento inconscio le parole soffocano in gola. Rimane solo un timido gioco di sguardi e un imbarazzo quasi tagliente percepibile a chiunque nel raggio di qualche chilometro.
Così te ne resti lì, disorientato, confuso, quasi privo di sensi. Non capisci più niente, non sai più distinguere il giusto dallo sbagliato, quello che andrebbe fatto da quello da evitare.
Il vero dilemma è se seguire l'istinto e azzardare o rimanere inerme e non rischiare.
La direzione da prendere è offuscata, evanescente, sempre più lontana.
Ti senti come un cieco alla deriva, allacciato ad una notte che probabilmente non incontrerà mai...




All these people drinking lover's spit
They sit around and clean their face with it
And they listen to teeth to learn how to quit
Tied to a night they never met...

You know its time that we grow old and do some shit
I like it all that way
I like it all that way...

All these people drinking lover's spit
Swallowing words while giving head
They listen to teeth to learn how to quit
Take some hands and get used to it...

(Broken Social Scene - Lover's Spit)

martedì 25 settembre 2012

Quello che resta...



(Valencia, Agosto 2012)

domenica 23 settembre 2012

September, again


Finalmente, Settembre. Si, mi va di iniziare così il mio post perchè semplicemente amo l'autunno. Amo l'aria che si fa pungente, costringendoti a coprirti un po' di più e amo perfino il calare del sole anticipato di quel paio di orette. Anche se forse, a dir la verità, quest'autunno 2012 dovrei amarlo un po' di meno, perchè di pari passo col suo arrivo, se ne andrà anche il mio lavoro. Ma non sono il tipo che si sgomenta; cancellando i primi giorni di angoscia, sconforto e perchè no, anche di paura e incertezza, che mi hanno pervaso giusto il tempo di metabolizzare la notizia, e di pensare a quel paio di RID aperti in banca e a dove potranno attaccarsi da novembre in poi.. ho iniziato a vedere quest'episodio come un qualcosa che porterà inevitabilmente a qualcos'altro di meglio. In fondo non ho mai considerato, questo, come il lavoro della mia vita anzi, quasi mi soffocava. Mi piace pensare, al 2013, come all'anno della svolta, l'anno in cui inizierò a dedicarmi veramente a cio' che più desidero. O per lo meno, è quello che mi auguro. Ventotto anni, ed iniziare a vivere. Iniziare a vivermi senza più lasciarmi condizionare dalle circostanze. Non importa dove. Quello che conta è che sia adesso. E finalmente.

In questi ultimi giorni è successo che ho prenotato un volo per Parigi: partirò solo con uno zaino, in cui non mancheranno un bel po' di curricula, perchè in fondo la vita che cos'è? Se non una combinazione stravagante di eventi?
La vita è saper rischiare al momento giusto, saper buttarsi prendendo la rincorsa nonostante l'incazzatura che nutri dentro.

E, come dice una famosa canzone di De Andrè, tutto sommato mi piace immaginarmi di spalle, con i miei capelli color rame perennemente fuori posto e, soprattutto, mi piace immaginarmi di spalle, partire.

lunedì 30 luglio 2012

Era il 28 Dicembre e la disperazione di fine anno era nell'aria

Le pareti erano leggermente scrostate in quel palazzone di dodici appartamenti nel centro della città. La nostra casa era più piccola rispetto alle altre e la cosa non mi dispiaceva per niente. Amo gli appartamenti non troppo grandi ma solo a patto di avere una stanza tutta per me. Sono un animale solitario quando mi va e se, alle quattro di notte, non riesco a dormire ed ho voglia di mettere su un disco e, con cuffie all'orecchio, buttare giu qualche riga, non desidero altro che poter essere libera di farlo. Ma il problema non si poneva: la mia stanza era carina, piuttosto ristretta ma carina. I punti focali erano due: un' ampia finestra che dava sul vialone alberato al di sotto e da cui entrava, ad ogni tramonto, un odore acre di cucina cinese e un armadio che occupava l'intero spazio. "Accidenti, ci sarebbero entrati i guardaroba di almeno tre persone!", ricordo che pensai non appena lo vidi. Tutta la stanza girava intorno a quel mobilone in legno chiaro e in stile un po' retrò. Lo riempii di tutto: abiti, scarpe, borse, libri, cartoline, ancora abiti, ricordi ingombranti e altri un po' meno e foto. Un'infinità di foto.
Poi c'era il salotto: il punto di incontro, scontro e sfogo di tutte noi coinquiline. Quante serate e risate e discussioni e poi di nuovo risate, in quel piccolo ma pittoresco angolo di casa. Era pieno di quadri. Ognuna di noi ne aveva appeso almeno uno secondo il proprio gusto personale. E nonostante gli stili e i colori diversi, riuscimmo a farli combiaciare tutti perfettamente.

L'ultima sera non riuscivo a dormire così scesi le scale silenziosamente e rimasi ad osservare quei dipinti almeno un'ora. Vicino alla porta avevamo già portato un paio di scatoloni, mancavano le ultime cose e poi avrei salutato definitivamente quel piccolo appartamento un po' scrostato, costruito intorno a quell'imponente armadio in legno, ma a cui erano legati ricordi che inevitabilmente sarebbero rimasti per sempre. Fumai l'ultima sigaretta e poi me ne tornai in camera. La mattina seguente mi infilai sotto la doccia che non erano ancora le 8 e osservai il soffitto, feci scivolare le dita lungo le piastrelle umide, e quella volta perfino il leggero odore di muffa che proveniva dalle pareti mi dette meno noia. Ripensai alle infinite volte in cui ci eravamo ripromesse di dargli una sistemata a quel bagno e poi ce ne fregammo sempre. Sorrisi. Ma quell'ultima volta mi apparve molto più piacevole del solito, tanto che non gli avrei cambiato quasi niente.
Cominciai a fare su e giu con gli scatoloni.
Mi trovai fuori dal portone che ero ancora sovrappensiero. L'asfalto era unto esattamente come il giorno in cui arrivai. Caricammo gli ultimi pacchi sulla twingo scassata di quegli anni e ci abbracciammo. Sinceramente, come non mai.
Entrai in macchina, e partì questa canzone. Era il 28 Dicembre e la disperazione di fine anno era nell'aria. Puzzava di Mcbacon e treni e forse qualche aereo e poi chissà.


martedì 3 luglio 2012

Perchè essere felice quando puoi essere normale?

"Ho faticato molto per essere l'eroina di me stessa, ma ogni volta che controllavo il registro dei profughi c'era sempre il mio nome. Non conoscevo l'arte di appartenere.
Desiderare? Si. Appartenere? No."

(Jeanette Winterson - Perchè essere felice quando puoi essere normale?)

mercoledì 20 giugno 2012

Solo questo e nient'altro


Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.
Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.
Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.

(Inviti Superflui, Dino Buzzati)

venerdì 8 giugno 2012

Young Lovers in Paris






















(National Geographic, 1972 by Gordon W. Gahan)

lunedì 28 maggio 2012

Around the world

Già da quando ero in fasce, mi piaceva concedermi qualche viaggetto. A un anno e qualcosa i miei mi portarono a Singapore. Quasi 15 ore di volo e credo di essere sclerata solo un paio di volte. Poi ci fu Ibiza, Parigi, Berlino, Santo Domingo, Madrid poi di nuovo Parigi. Ma porterò sempre nel cuore il tour statunitense tra Los Angeles, San Francisco e Las Vegas. Dieci giorni, una macchina al noleggio e la libertà di scoprire, di affascinarsi a tutto cio' che incontravamo. Anche i cartelli stradali restavano impressi, le dune del deserto, quell'autogrill in mezzo al nulla con l'insegna fluo e il classico cassiere che vedi nei film americani. L'albergo lampeggiante che fa capolino nel nulla e che ti riconduce alla vita frenetica della città. Malibu, Santa Monica, la pedalata in bici lungo la costa. Il Golden Gate. Ahh, il Golden Gate.

Ma in tutti questi viaggi mai una volta che non sia rimasta colpita anche da qualche immancabile turista italiano che riconosci all'istante per quel suo camminare aggrappato alle vetrine dei negozi. Arrogante. Testa alta, con quell'aria da "sono un uomo di mondo", annoiato dai viaggi. E poi te lo ritrovi di fianco, al bar, mentre in un inglese improvvisato ordina un cappuccino e lascia andare il solito commento sulla superiorità del nostro di caffè. Come se ormai non fosse una cosa strarisaputa e superata.

"Londra è bella, però PariGGi. Eh beh, PariGGI ha sempre quel suo fascino. Peccato che si mangi male. Mo che tornamo però, se la famo una bella magnata, eh?"
Ricordo ancora. Londra, prima mattina nei pressi della Tate Modern. La faccia rivolta al sole. Sorrisi. E non risposi.

lunedì 21 maggio 2012

Hispanic Flight

Alla soglia dei trenta sto diventando sempre più intollerante. Lo ammetto. Ma credo anche che ci sia un limite a tutto. Come quella volta che in aereo, finii accanto a due spagnoli. Non chiusero bocca un secondo. Due ore e quaranta di volo, due ore e quaranta di chiacchere e risatine continue: fase di decollo e atterraggio comprese. Per distrarmi un po', ogni tanto guardavo, fuori dal mio oblò, l'ala destra di quel volo low-cost. Alzai pure il volume dell'I pod al massimo, ma il risultato ne fu un Battisti con accento spagnoleggiante. Un vero disastro. Provai a leggere, ma impossibile. Dormire, non se ne parli. Non ne potevo più. Arrivai a sperare che scendessero le mascherine dell'ossigeno, forse con quelle davanti si sarebbero dati una calmata. Una volta arrivata a destinazione, presi la metro che si trovava proprio sotto al terminal. Quel viaggio fu molto più silenzioso invece. Nessuna fiatava. Tutti sembravano immobili, spersi o immersi in chissà quali pensieri. Ogni tanto qualcuno sollevava lo sguardo, ma esclusivamente per controllare che ore fossero o se la fermata fosse quella giusta. Dopo 40 minuti ero in Hotel. Chiavi lanciate sulla scrivania, borsone lasciato all'entrata, una doccia veloce, una sbirciatina alle mail e finalmente a letto. L'ultimo pensiero: avranno smesso di chiaccherare gli spagnoli?

giovedì 3 maggio 2012

Vita da precario

Mc donald's. Ordino il mio panino preferito: hamburger al bacon e si, anche una patatina e una bustina di kechup. Grazie.
E mentre aspetto il tutto, ripenso alla notizia di oggi, arrivata in maniera inaspettata, maldestra, quasi fortuita.
Ad ottobre entrerò, probabilmente, anch'io a far parte di quel maledetto 30% di giovani disoccupati. Senza lavoro, o meglio senza progetti, senza ambizioni, totalmente inermi. Non per volontà loro, sia chiaro.. ma esclusivamente perchè questo è ciò che ci propina lo Stato. Questo e nient'altro.
Che poi a pensarci bene, il lavoro ci sarebbe: tirocini, stage non pagati, part-time sottopagati, contratti a chiamata che non si sa bene come funzionino e l'emigrazione. E non ti rimane che adattarti. E così, ti adatti tu, come tutto ciò che ti circonda, come il tuo stesso modo di vedere la vita. Stabilisci rapporti umani in base al contratto di turno. Rapporti a tempo determinato, figli a progetto, case in affitto, trasferimenti all'estero, nessuna possibilità di coltivare le proprie reali passioni perchè il lavoro oggi c'è, domani chissà. E nessun amico, esclusivamente colleghi.
Sei un essere umano precario e imposti le tue relazioni da precario.
Il risultato non può che esserne una società di schizofrenici. Schizofrenici solitari. E non sognatevi di dire, un giorno, che lavorate alle poste e godete di un contratto a tempo indeterminato. Sareste alquanto poco credibili e il risultato ne sarebbe una risata collettiva.

martedì 17 aprile 2012

Effetti del fuori città

E' ormai da qualche mese che ho lasciato la città (se così si può definire Viareggio) e mi sono trasferita in un paesino di campagna non troppo grande. Anzi, oserei dire decisamente minuscolo.
Resto poco in casa, ma il lunedì essendo il mio giorno libero, non mi schiodo di qui. E così, cane al guinzaglio, in genere ne approfitto per esplorare un po' quello che mi circonda. Mi piace farlo. Sono sempre stata una curiosa, del resto.

Camminando per le vie, trovo solo case, campi, mucche, viti, un ragazzo con il passeggino e poi di nuovo case. Alcune rustiche, altre più vecchie, altre evidentemente restaurate. La maggior parte con il proprio orticello curato, qualche finestra illuminata e la bellezza del silenzio, intervallato solo a tratti dal suono di qualche uccello che sfiora veloce il torrente.

C'è poi la chiesa, che domina imponente su quello che dovrebbe essere il "centro" del paese, e che ha un metodo tutto suo di segnalare il passare dei minuti. I primi giorni per una che ha il sonno leggero come me, è stata dura continuare a dormire poi ti abitui, e quasi ti manca se, per qualche motivo, non riesci a sentirlo quel rintocco quasi monotono che scandisce le giornate.

Proseguendo più avanti, c'è anche una cartoleria, una panetteria che in realtà vende un po' di tutto, un tabacchino, la sede del PD, chiusa da non sò quanti anni, stando a giudicare dallo stato in cui si trova, e un bar.
Ordinato il mio solito caffè, mi sono seduta fuori a leggere la gazzetta, l'unico giornale disponibile, mentre un cielo grigio e indeciso prometteva pioggia. Dopo qualche pagina, si siede vicino a me un vicino di casa che avrò visto in tutto quattro o cinque volte, non di più. Un tipo, dicono, solitario e, in effetti, per rivolgermi la parola si notava che doveva aver fatto una fatica enorme. Iniziamo a parlare di pomodori, di viti, della vita di paese, del mare di Viareggio, del prezzo alle stelle della benzina, della tragica scomparsa di Morosini, finiamo anche per organizzare una grigliata. Senza rendercene conto, parliamo ininterrottamente per quasi un'ora. Poi, improvvisamente inizia a piovere. Lo ringrazio del caffè che ha voluto offrirmi a tutti i costi, ci salutiamo e corro verso casa.

E davanti alla porta, mentre scuoto i capelli e data l'ora decido che per pranzo improvviserò un uovo al curry, non posso fare a meno di pensare a quanto possa essere terribilmente piena, a volte, la semplicità.

giovedì 12 aprile 2012

Fra il dolore e il nulla io scelgo il dolore.

E tu cosa sceglieresti?
(Fino all'ultimo respiro - Jean-Luc Godard)

venerdì 23 marzo 2012

Bambole russe

“Ho ripensato a tutte le donne che ho conosciuto, con cui sono stato a letto o che ho solo desiderato, e ho concluso che sono come le matrioske, le bambole russe. Passiamo la vita giocando a questo gioco presi dalla curiosità di sapere quale sarà l’ultima, la bambola più piccola, quella che era nascosta fin dal principio dentro tutte le altre. Non è possibile tirarla fuori subito. Bisogna seguire l’intero percorso. Viverle una dopo l’altra, domandandosi di fronte a ciascuna: sarà questa l’ultima?”

(Bambole russe - Cédric Klapisch)

lunedì 19 marzo 2012

(...)

"Entrammo in spazi incantati
e illuminammo il buio
con la punta delle dita."

(Canti lungo la fuga, VI - Ingeborg Bachmann)
























(Marc Chagall)

venerdì 16 marzo 2012

Amo gli imprevisti

Ore 7.30, suona il cellulare. Guardo il numero, non lo conosco. Sono tentata di non rispondere e girarmi dall'altra parte. Del resto e' tutta la settimana che aspetto venerdì mattina, sapendo di avere finalmente un'intero giorno libero. Poco prima, come mi succede sempre in questi casi, mi ero svegliata di soprassalto, temendo di essere in ritardo. Poi in uno sprazzo di lucidità, con un occhio mezzo chiuso e l'altro semiaperto, mi ero ricordata di essere libera e, raggiunto così il centro del letto, in uno stato di puro godimento, mi ero finalmente riaddormentata.

Pronto?
La mia collega sta male.

Sono le 7.40. Mi sveglio, in bagno, davanti allo specchio.
Ma sono io? Ma è casa mia? Vedo una foto scattata diversi anni fa in vacanza negli Stati Uniti. Si, è casa mia.

Cielo grigio, c'è una leggera nebbia e fa freddo. Raffreddore cronico e le ore di sonno racchiuse in una sola mano. Parto in quarta senza nemmeno riscaldare il motore. Devo passare a pagare l'assicurazione della macchina prima. Oggi è l'ultimo giorno. E chissà se alle 8.30 saranno già aperti.

Scendendo verso Viareggio, ritrovata la calma, mentre la nebbia lentamente si dirada e il sole fa capolino, collego l'Ipod allo stereo.

"Ashes to ashes, funk to funky
We know Major Tom's 4
a junkie
Strung out in heaven's high
Hitting an all-time low"

Grazie David Bowie.

lunedì 12 marzo 2012

Waiting for Autumn

La primavera ormai è alle porte.
E' una stagione che non amo particolarmente; sarà perchè è ricca di festività che non sopporto, e sarà perchè è seguita dall'estate che sopporto ancora di meno.

Da bambina o meglio fino ai vent'anni ricordo che non aspettavo altro che finisse la scuola, poi il liceo e qualche anno dopo anche l'università per godermi un po' di mare, di caldo e di sole. Abitando in una località balneare, tutto questo poi era particolarmente esaltato e facilmente godibile. Marzo era, anche, il periodo in cui si mettevano da parte i soldi e si faceva il conto di quanti eravamo a prendere il cosiddetto "ombrellone". Gruppi immensi di amici con cui passare l'intera stagione estiva, in assoluta spensieratezza, almeno fino a metà settembre. Almeno fino al primo giorno di scuola.

Molti dei miei amici, tutt'oggi, vivono ancora con questo spirito. Io no. Mi sento lontana da quei periodi. Mi sento diversa. Cambiata, completamente.

Adesso, non vedo l'ora sia Settembre per l'arrivo dell'autunno. Perchè Settembre è il mese dei progetti. E' il mese ideale per riprendere in mano gli studi, per iscriversi ad un nuovo corso, per progettare un trasferimento. E' il mese a cui, in genere, si affida un rivoluzionamento parziale o totale della vita. Anche se, puntualmente, finisce che a Dicembre ti ritrovi a fare i conti sempre con la solita routine.

Oggi, o meglio il lunedì in genere, è il mio giorno libero. Così, stamani ho infilato i pantaloni della tuta, mi sono fatta un caffè. Solubile, tra l'altro. Non avevo voglia di aspettare i tempi della moka. E sono uscita nel campo davanti casa. Chissà per quale strano motivo, ho iniziato a pensare a tutto questo, forse perchè il caldo iniziava già a infastidirmi.

Ho pensato anche che sarebbe stato uno di quei momenti ideali per portare a spasso il cane e, nell'attesa, accendersi una sigaretta e godersi i rumori della vita.
Peccato soltanto che il cane non c'era.
E a dire il vero neanche le sigarette.

lunedì 5 marzo 2012

E' dura restare. Ma mai quanto oggi.

(..)
che bell'inganno sei anima mia
e che grande il mio tempo che bella compagnia
mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni

mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
(..)
(Anime salve - Fabrizio De Andrè)

lunedì 27 febbraio 2012

Good night

It is night. I am alone, and with this verse
I must compose my insipid universe.

(Jorge Luis Borges - The Blind)

martedì 21 febbraio 2012

Bird on a wire

Come un uccello sul filo
Come un ubriaco in un coro di mezzanotte
Ho cercato a modo mio di essere libero.
Come un verme sull’amo
Come un cavaliere in qualche libro antico e fuori moda
Ho conservato i miei brandelli per te.

Se non sono stato giusto
Spero tu possa lasciar correre
Se non sono stato sincero
Spero tu sappia che non mi rivolgevo a te.

Come un bimbo nato morto
Come una bestia col corno
Ho lacerato chiunque cercasse di raggiungermi.
Ma giuro su questa canzone
E su tutto ciò che ho fatto di sbagliato
Che rimetterò ogni cosa a te.

Ho visto un mendicante appoggiato alla sua stampella di legno
Mi ha detto: “Non devi chiedere tanto.”
E una graziosa donna affacciarsi dalla sua porta buia,
Mi ha urlato: “Perché non chiedere di più?”

Come un uccello sul filo
Come un ubriaco in un coro di mezzanotte
Ho cercato a modo mio di essere libero.
(Bird on a wire - Leonard Cohen)

lunedì 6 febbraio 2012

Uno in particolare

Ed entri nella tua stanza e ti siedi su quella sedia di legno, dipinta di bordeaux. Il tuo colore preferito. E davanti c'è quello specchio. E allora, ti viene di domandarti da quanto in realtà non ti guardi più, da quanto non ti piaci e soprattutto da quanto non ti interessa. Eri una bellissima donna. E lo sei ancora. Anzi, adesso di più. Nei tuoi occhi aleggia quella malinconia, quella consapevolezza di come la vita sia, che ti rende ancora più intrigante contro ogni tua intenzionalità. Ricordo quando da piccola ti osservavo metterti il rossetto. A volte rosso, a volte arancio, a volte semplicemente niente. E me ne stavo lì, ad ammirarti in silenzio, appoggiata alla porta di camera. Mi piaceva guardarti. E non me l'hai mai detto, ma credo che, ogni volta, ti accorgessi della mia presenza ma nonostante tutto, facevi finta di niente. Adoravo soprattutto quando raccoglievi i tuoi lunghi capelli biondi e poi indossavi la tua collana preferita. Quella che ti aveva regalato Lui. Il tuo unico lui, nonostante tutto. E adesso è così strano vederti così, ma io sò che sotto i segni indelebili del tempo e sotto quella velata tristezza, hai un ricordo. Uno in particolare, che ti porta ancora a danzare, a piedi nudi, lungo la riva del mare come in quell'agosto di vent'anni fa, in costa Calida.

venerdì 3 febbraio 2012

Q31

Giorno più, giorno meno, è da circa un mese che ho l'auto dal meccanico. Me l'avessero detto un pò di tempo fa, mi sarei disperata all'idea di non poter guidare e di rinunciare, così, alla mia indipendenza. Se c'è una cosa che non mi è mai andata a genio, è quella di sentirmi dipendere da qualcuno come dall'orario di un autobus o di un treno soprattutto per gli spostamenti più banali.
Questo, per lo meno, quello che pensavo non appena lasciata la macchina. Adesso, a distanza di giorni, il mio New Beetle a fronte di una spesa di riparazione eccessiva, è in vendita; ed io ho deciso di optare per una macchina decisamente più agile e soprattutto economica. Una smart. Il contrario, praticamente. E intanto che attendo la chiusura del finanziamento precedente, continuo ad essere a piedi. Ma che bellezza prendere al volo quell'autobus e fare il solito percorso con persone sempre diverse. C'è chi va a scuola, chi in ufficio, c'è la signora anziana che lo prende solo per spostarsi da una fermata all'altra, qualche ragazzo di colore regolarmente seduto agli ultimi posti. Ed io, che attraverso il finestrino appannato, filtro il paesaggio innevato al di fuori.
Dato che la macchina nuova sarebbe già pronta, potrei sollecitare tutto il resto per riuscire ad averla il prima possibile. Ma in fondo tra una settimana parto. E questi ultimi giorni perchè non trascorrerli, ancora una volta, con le cuffie nelle orecchie e perennemente di corsa per non rischiare di dover aspettare il pullman o il treno successivo intanto che ne approfitto per arricchirmi di tutto ciò che gira intorno?

giovedì 2 febbraio 2012

L' incertezza è molto meglio

Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
E’ bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.

Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano -
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
uno “scusi” nella ressa?
un “ha sbagliato numero” nella cornetta?
- ma conosco la risposta.
No, non ricordano.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.

Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell’infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.

(Amore a prima vista - Wislawa Szymborska, da La fine e l’inizio, Scheiwiller, 1993)

lunedì 16 gennaio 2012

Ci sono molti modi per vivere in estate come in inverno

L’amore è abbastanza grande da includere una frase letta in un libro, la linea di un collo visto e desiderato tra la folla, un viso amato e desiderato visto al finestrino di un metrò che sfreccia via. È grande abbastanza da includere un amore passato, un amore futuro, un film, un viaggio, la scena di un sogno, un’allucinazione, una visione.
(Anaïs Nin)

lunedì 9 gennaio 2012

Un lungo, lunghissimo bacio

Era una sera di metà novembre e mi trovavo da sola in casa. Non ricordo mia mamma e mia sorella dove fossero finite quel giorno, ma mi è sempre piaciuto starmene per conto mio. Cucinarmi qualcosa, con un buon bicchiere di vino e un pò di musica in sottofondo. Il bello stà proprio nella preparazione o meglio nella sperimentazione. Non ho mai seguito le ricette per filo e per segno. Ho sempre fatto un pò di testa mia, come in ogni cosa del resto. Stavo cucinando quindi, quando suonò il campanello. Era lui. Arrivato così, all'improvviso. Aveva i capelli bagnati; fuori aveva iniziato a piovere. E il suo solito, inconfondibile sorriso. Non mi toglieva gli occhi di dosso, mentre gli chiedevo il perchè. Il perchè di quel ritorno. Aveva una giacca marrone, una camicia celeste e una bottiglia di vino tra le mani. Entrò, e mi abbracciò. E così, tutte le parole, le domande, i dubbi e le paure svanirono. Gli abbracci hanno questo enorme potere. Il potere di sciogliere tutto. Come ghiaccio sull'asfalto all'arrivo del sole.
Presi un vecchio vinile tra la collezione di mio padre e lo misi su. Sapevo che gli sarebbe piaciuto. Lo conoscevo meglio di chiunque altro. Mentre posizionavo la testina del giradischi, mi abbracciò di nuovo dal dietro. Così mi voltai, ci guardammo negli occhi e mentre con una mano mi accarezzava i capelli, con le labbra iniziò a sfiorarmi la guancia, l'orecchio, per scendere poi fin sulla bocca. E così, ci baciammo. E fu un lento, lungo, lunghissimo bacio.


( Mazzy Star - Give you my lovin)

lunedì 2 gennaio 2012

Le sigarette migliori

Stavo ripensando al 2011. E non mi è venuto in mente niente di particolare. Sono così tornata un pò indietro negli anni. Ai momenti memorabili e alle sigarette migliori. E non ho potuto non ripensare a quella mattina di fine giugno di quasi dieci anni fa. Ero appena uscita da quel palazzone freddo e austero che e' il liceo classico della mia città. Faceva un caldo bestiale, l'estate era ormai alle porte ed avevo appena sostenuto la prova orale dell'esame di maturità. Era andata decisamente da schifo. Ma non importava. Bastava andare oltre. E se con in tasca un 60 oppure un 80, a quel punto, non faceva più alcuna differenza. Ricordo che appena sceso il primo scalino, mi accesi una sigaretta. E quello, fu il mio piccolo addio a quella piccola parte della mia vita.
Poi ci sono state le sigarette con l'amica d'infanzia. Sedute fianco a fianco, lungo il fiume, bevendo birra e parlando di tutto e di niente. In un tardo pomeriggio di fine maggio quando il cielo diventa blu, le strade si riempono anche dei lavoratori e la notte sai che non arriverà mai.
Ripenso ai treni presi. Qualcuno preso al volo. Qualcuno un po' troppo in ritardo, forse. Alla fretta dell'andata per l'eccitazione di non sapere a cosa stessi andando incontro. E all'evasione del ritorno ripensando al giorno prima.
E, tra tante cose, come scordarmi la notte del mio ventunesimo compleanno. In macchina di non ricordo quale amica. Una bottiglia di spumante in un una mano, la sigaretta nell'altra e la testa fuori dal finestrino canticchiando tutti insieme "A la la la long" di Bob Marley, quando la spensieratezza faceva ancora da sottofondo. Poi, all'improvviso, il black out. Ricordo solo che il giorno dopo la febbre non passava.
Adesso, invece, sono all'inizio di un nuovo anno e non ho buoni propositi. Quello che accadrà, accadrà e basta. Sono sulla soglia dei trenta però e forse una cosa dovrei chiedermela: perchè non smettere di fumare?

"girl i want to make you sweat
sweat 'till you can't sweat no more,
and if you cry out
i'm gonna push it sum more-ore-ore,
girl i want to make you sweat
sweat 'till you can't sweat no more,
and if you cry out
i'm gonna push it push it push it some more"
(A lalala long - Bob Marley)

E continuo a sorridere...