venerdì 1 luglio 2011

Un sabato notte a Venezia

Era una sera di metà giugno quando mi ritrovai a Venezia. Avevo appena finito di cenare in un ristorantino tipicamente turistico non troppo distante da piazza San Marco. Un fritto di pesce e due o tre bicchieri di prosecco. Una foto a due suonatori di cornamusa e pagai il mio conto. Un altra foto e continuai a camminare per quel paradiso affacciato sul mare. E fu così che tra uno scatto e l'altro notai un localino in una via non troppo popolata. Fuori, seduti ad alcuni tavolini, gruppi di amici in clima di festa. Passai in mezzo a loro ed entrai. Chiesi una bottiglietta d'acqua e fu in quel momento che mi accorsi di lei. Avrà avuto una settantina d'anni. Capelli corti, biondi, postura eretta ed abito elegante. In basso, appoggiato ad un gambo del tavolo, uno zaino in netto contrasto con tutto il resto. Ma quello che mi colpì di più fu il suo sguardo. Non lo alzò mai, se ne stava fisso su quel bicchiere ormai vuoto davanti a lei. Era interamente circondata da un velo di tristezza e di malinconia in continua lotta con gli schiamazzi e le risate della gente che si trovava al di fuori. Afferrai la mia bottiglietta, bevvi un sorso e tirai fuori il cellulare. Senza farmene accorgere, scattai una foto. E fotografai quella via. La via a cui conduce la vita. Chissà come mai si trovava lì da sola, quel sabato notte. Chissà a cosa stesse pensando, dove fosse diretta, che tipo di vita avesse condotto. Gli amori persi, vissuti, ritrovati. Le risposte non ci sono e in fondo nemmeno mi interessano. Sò solo che amo questi scorci di vita. E che certi volti, restano impressi. E' inevitabile. Poi mi avviai verso l'uscita, infilai la bottiglietta in borsa e aprii la porta mentre venivo lentamente risucchiata dall'aria afosa e dalle mille voci esterne. Mi voltai un'ultima volta. E così, arrivederci. Arrivederci, solitaria e affascinante signora trai canali veneti.

















(Venezia, 11 Giugno 2011)

1 commento:

Andrea La Rovere ha detto...

Come sempre i tuoi racconti colpiscono allo stomaco un animo predisposto allo spleen...oggi mi hai ricordato molto questo breve pezzo di Baudelaire,che sono sicuro conosci,"Le finestre".
Ciao Ilà

Chi guarda dal di fuori attraverso una finestra aperta non vede mai tante cose quante ne vede chi guarda una finestra chiusa. Non c'è nulla di più profondo, di più misterioso, di più fecondo, di più tenebroso, di più abbagliante di una finestra illuminata da una candela. Quanto si può vedere al sole è sempre meno interessante di quanto avviene dietro a un vetro. In quel buco nero o luminoso vive la vita, sogna la vita, soffre la vita.
Al di là delle onde dei tetti vedo una donna matura, già con le rughe, povera, china su qualcosa e che non esce mai.
Col suo volto, con la sua veste, con il suo gesto, con un nonnulla, ho rifatto la storia di questa donna o meglio la sua leggenda, e qualche volta me la racconto piangendo.
Fosse stato un povero vecchio, avrei rifatto la sua storia con la stessa facilità.
E vado a letto, orgoglioso di aver vissuto e sofferto in altri che non sia me stesso.
Forse mi direte: Ma sei certo che questa leggenda sia quella vera?
E che importa quella che è la realtà fuori di me, se essa mi ha aiutato a vivere, a sentire che esisto e quel che sono?
C. Baudelaire, Petits poemes en prose (Le spleen de Paris)