C'è un piccolo bar, un po' squallido ma dall'aria quasi metropolitana, all'angolo vicino al centro. Ci vado perchè non c'è quasi mai nessuno ed ha quel tipo di sgabelli come piace a me: in acciaio, alti, posti lungo una sorta di piano, in legno scuro, che percorre l'intera vetrata e che si affaccia sulla via di fronte. Mi siedo sempre lì: adoro guardare fuori, vedere chi se ne va a lavoro, chi torna a casa con qualche busta della spesa, chi corre a pagare il biglietto per un parcheggio magari di solo qualche minuto.
Non ci sono occhi indiscreti in quel piccolo bar. Del resto in una cittadina, dove tutti ci conosciamo, devi rifugiarti nei posti meno frequentati per poter fare quello che vuoi senza essere più di tanto osservato o "disturbato".
Il proprietario è il classico pasticcere dall'aria simpatica e amichevole, con qualche chilo di troppo e un accento vagamente romano. Mi piace perchè sorride. Sorride sempre. A chiunque, senza distinzione.
E' una mattina come tante, piovosa e umida anzi umidissima, sorseggio il mio solito caffè bollente che oramai mi viene preparato senza bisogno che chieda niente. Basta un mezzo sorriso appena entro.
Sfilo dalla borsa il quaderno in cui, ogni tanto, mi diverto ad appuntare cose di ogni genere, e decido di approfittare di quell'ora libera per cercare nel volto o anche nella camminata di qualche passante la fonte di ispirazione per buttare giù qualche riga.
Quando, all'improvviso, la voce soave di Ella Fitzgerald che, fino a quel momento aveva cullato i miei pensieri e accompagnato la mia penna, viene bruscamente sostituita da un acuto di Tiziano Ferro in "Rosso Relativo", canzone che fin dagli esordi non sono proprio mai riuscita a mandar giù.
Mi giro di scatto per capire cosa sia successo, e solo a quel punto mi accorgo dell'arrivo del nipote del proprietario: un ragazzotto sui sedici anni piuttosto in carne, con qualche brufolo qua e là, un taglio di capelli decisamente o meglio tremendamente all'ultima moda, e con più colori indosso lui di tutti i carri di prima e di seconda categoria che hanno preso parte alla sfilata di Carnevale. Ma il momento più bello è quando, non ancora soddisfatto della coraggiosa scelta musicale, inizia ad improvvisare con fare del tutto disinvolto e convinto una sorta di break dance delle braccia.
Rotto ormai l'incantesimo, sorridendo con lo zio di quel soggetto così bizzarro, opto per riporre il quaderno dentro la borsa e per dirigermi verso il bancone dove, completamente assorbita da tanta vitalità, decido di ordinare un bel negroni.
Meglio berci su, mi dico.
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