Le pareti erano leggermente scrostate in quel palazzone di dodici appartamenti nel centro della città. La nostra casa era più piccola rispetto alle altre e la cosa non mi dispiaceva per niente. Amo gli appartamenti non troppo grandi ma solo a patto di avere una stanza tutta per me. Sono un animale solitario quando mi va e se, alle quattro di notte, non riesco a dormire ed ho voglia di mettere su un disco e, con cuffie all'orecchio, buttare giu qualche riga, non desidero altro che poter essere libera di farlo. Ma il problema non si poneva: la mia stanza era carina, piuttosto ristretta ma carina. I punti focali erano due: un' ampia finestra che dava sul vialone alberato al di sotto e da cui entrava, ad ogni tramonto, un odore acre di cucina cinese e un armadio che occupava l'intero spazio. "Accidenti, ci sarebbero entrati i guardaroba di almeno tre persone!", ricordo che pensai non appena lo vidi. Tutta la stanza girava intorno a quel mobilone in legno chiaro e in stile un po' retrò. Lo riempii di tutto: abiti, scarpe, borse, libri, cartoline, ancora abiti, ricordi ingombranti e altri un po' meno e foto. Un'infinità di foto.
Poi c'era il salotto: il punto di incontro, scontro e sfogo di tutte noi coinquiline. Quante serate e risate e discussioni e poi di nuovo risate, in quel piccolo ma pittoresco angolo di casa. Era pieno di quadri. Ognuna di noi ne aveva appeso almeno uno secondo il proprio gusto personale. E nonostante gli stili e i colori diversi, riuscimmo a farli combiaciare tutti perfettamente.
L'ultima sera non riuscivo a dormire così scesi le scale silenziosamente e rimasi ad osservare quei dipinti almeno un'ora. Vicino alla porta avevamo già portato un paio di scatoloni, mancavano le ultime cose e poi avrei salutato definitivamente quel piccolo appartamento un po' scrostato, costruito intorno a quell'imponente armadio in legno, ma a cui erano legati ricordi che inevitabilmente sarebbero rimasti per sempre. Fumai l'ultima sigaretta e poi me ne tornai in camera. La mattina seguente mi infilai sotto la doccia che non erano ancora le 8 e osservai il soffitto, feci scivolare le dita lungo le piastrelle umide, e quella volta perfino il leggero odore di muffa che proveniva dalle pareti mi dette meno noia. Ripensai alle infinite volte in cui ci eravamo ripromesse di dargli una sistemata a quel bagno e poi ce ne fregammo sempre. Sorrisi. Ma quell'ultima volta mi apparve molto più piacevole del solito, tanto che non gli avrei cambiato quasi niente.
Cominciai a fare su e giu con gli scatoloni.
Mi trovai fuori dal portone che ero ancora sovrappensiero. L'asfalto era unto esattamente come il giorno in cui arrivai. Caricammo gli ultimi pacchi sulla twingo scassata di quegli anni e ci abbracciammo. Sinceramente, come non mai.
Entrai in macchina, e partì questa canzone. Era il 28 Dicembre e la disperazione di fine anno era nell'aria. Puzzava di Mcbacon e treni e forse qualche aereo e poi chissà.
lunedì 30 luglio 2012
martedì 3 luglio 2012
Perchè essere felice quando puoi essere normale?
"Ho faticato molto per essere l'eroina di me stessa, ma ogni volta che controllavo il registro dei profughi c'era sempre il mio nome. Non conoscevo l'arte di appartenere.
Desiderare? Si. Appartenere? No."
(Jeanette Winterson - Perchè essere felice quando puoi essere normale?)
Desiderare? Si. Appartenere? No."
(Jeanette Winterson - Perchè essere felice quando puoi essere normale?)
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